Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca… io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono” Claude Monet
Qualunque opera d’arte possiede un codice comunicativo proprio, attraverso il quale nasce o dovrebbe nascere una connessione con chi ne fruisce. Dai macro elementi ai singoli dettagli, tutto è comunicazione, ovvero trasferimento di significati, di pensieri, di sentimenti, di percezioni. Tutto questo bombardamento emozionale mette, o dovrebbe mettere, nella condizione ideale chi osserva, al fine di comprendere la sensibilità dell’artista e il suo stile, decodificando le sue intenzioni.
Visitando la mostra di Monet, Opere dal Musée Marmottan Monet di Parigi, presso Palazzo Reale a Milano, ci si trova immediatamente immersi all’interno di una storia che non è stata interpretata dall’artista, quindi filtrata dagli occhi del talento, ma è un percorso comunicativo reale, in cui cronologicamente viene dato spazio alle tappe che hanno segnato la vita artistica di Monet. Ci sono opere che l’artista francese riteneva molto personali e riservate, tanto da custodirle gelosamente nella sua abitazione di Ginerny.
Il viaggio pertanto inizia catapultando il visitatore dentro il mondo dell’impressionismo e della produzione artistica di Monet, dove è la luce con i suoi mutamenti a guidare gli occhi e il cuore di chi osserva. E’ realmente un crescendo di particolari, opere di dimensioni varie che portano a capire nel dettaglio i tratti di maturazione del pittore francese, e il suo modo di coniugare la propria storia con il paesaggio da lui osservato e interiorizzato.
Scopo di un’opera d’arte, oltre a quello di catturare l’emozione, è di far ragionare chi la osserva, ovvero mettere nella condizione di porsi molti interrogativi che riguardano l’esteriorità del dipinto ma anche i motivi che hanno indotto l’artista a scegliere quel determinato contesto, a posizionare luci e colori su uno specifico particolare, dal ponte giapponese alle ninfee se parliamo dell’esposizione di Monet. Quindi, visitare una mostra, significa intraprendere un proprio percorso introspettivo nella speranza, osservando le opere, di entrare in contatto con l’artista. Questa relazione personale, attiva un processo di comunicazione che conduce il visitatore a continue sollecitazioni, ricercando risposte nei dipinti successivi.
L’arte è conoscenza, ci insegna ad osservare in modi diversi, e soprattutto ci accompagna nella costruzione di un pensiero critico, con l’aiuto dell’artista, verso noi stessi e la realtà che ci circonda.
Questo è esattamente il processo che sta alla base di qualunque forma di comunicazione: l’obiettivo non è quello di trasmettere un messaggio, ma di riuscire a trasferire, attraverso coerenza e talento, una storia capace di essere capita e soprattutto ricordata nel momento in cui deve essere interiorizzata e rielaborata in contesti diversi.
In sostanza la comunicazione dipinge una realtà, la rielabora, e lascia poi al destinatario il compito di comprenderla. Questo processo equipara in termini di responsabilità sia il mittente sia il destinatario, rendendo quindi molto più complessa la reale misurazione degli obiettivi raggiunti.
Chi opera in comunicazione dovrebbe sempre più spesso farsi ispirare dall’arte, partendo dalle emozioni come elemento strategico iniziale, per poi elaborare un proprio pensiero critico e su quello costruire la narrazione più efficace.
* Articoli pubblicati su blog di Affari Italiani The Ghost Writer
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