Smantelliamo le caste, togliamo i privilegi, scardiniamo lo status quo! Evocazioni rivoluzionarie di una società che da una parte invoca un cambiamento, dall’altra tende a chiudersi all’interno di una mediocrità perimetrale che poco ha a che vedere con un reale cambio di passo. Tra i mondi corporativi nati con l’obiettivo di rappresentare ma spesso caduti nella tentazione di preservare per non evolvere, rientrano le associazioni di professionisti, recinti all’interno dei quali spiccano professionalità ed esperienze importanti, unite da un meccanismo di rappresentatività che ha la tendenza a parlare in modo autoreferenziale e non riesce più ad ascoltare, se stessa e chi rappresenta.
La crisi identitaria, che talvolta destabilizza di riflesso governance e bilanci, di moltissime organizzazioni di rappresentanza è una testimonianza chiara del fatto che non ci si accontenta più di far parte di un gruppo, più o meno grande che sia, influente o meno, portatore di privilegi un tempo da indossare come il vestito della domenica, oggi dimenticati nel cassetto della distrazione, si cerca qualcosa di più, un arricchimento che supera il senso di appartenenza. Si va alla ricerca disperata di un ascolto che consenta di allargare la propria visuale; di un ascolto che vada incontro alle esperienze e non le intercetti solo per convenienza; di un ascolto che possa trasformarsi in eco, propagando idee e coraggio.
Chi si trova a far parte di un’associazione di professionisti, come semplice socio o con qualsiasi ruolo o carica ricoperta, deve chiedere e promuovere un ascolto condiviso, continuo che vada oltre lo sguardo, perché l’oggi lo possiamo interpretare, il domani, che è poi la variabile che ci interessa di più, perché ci porta ad elaborare strategie e anche bilanci preventivi, è molto più difficile da contornare se pensiamo come singoli. Se ragioniamo invece come una vera rappresentanza, unendo le vision, le esperienze, le sensazioni, allora può essere fattibile provare ad essere degli strateghi previsionali.
Il ruolo quindi di un’associazione che rappresenta una categoria di professionisti deve necessariamente rispondere ad una esigenza tanto banale quanto complicata: ascoltare e ascoltarsi, continuamente. Non siamo più abituati a farlo, siamo pigri e forse abbiamo anche un po’ di paura del futuro, ecco il perché sempre più spesso si rimane fermi o al contrario si viaggia pericolosamente senza una chiara meta, evocando ruoli ed etichette che illuminano solo l’ego di chi le esterna.
Un nuovo paradigma, quello dell’ascolto, che consentirà un nuovo modello di ingaggio associativo, in cui al centro rimane la persona e la sua capacità di essere ascoltato e ascoltatore.