L’intelligence come tutela della democrazia del Paese

4 Agosto 2021 The Ghost Writer*

 

Roberto Gervaso affermava “i servizi segreti si chiamano segreti perché nell’ombra trovano più di quello che troverebbero alla luce del sole”. Se poi l’ombra si amplia a tal punto da diventare cyber-oscurità allora il lavoro degli 007 diventa molto più complicato.

La domanda da porsi, anche alla luce della recente decisione presa dal Premier Draghi di declassificare dossier relativi all’organizzazione Gladio e alla loggia massonica P2, è quella relativa allo stato di salute della nostra Intelligence.

Il recentissimo attacco hacker ai sistemi informatici della Regione Lazio ha messo in luce un problema che riguarda tutto il Paese e che va ben oltre le policy, più o meno stringenti, legate alla protezione di dati e sistemi digitali. La sicurezza di una nazione e dei suoi cittadini non può prescindere ormai da un continuo monitoraggio del cyberspazio. E non è pensabile che sia solo una responsabilità di chi si occupa di difesa nazionale o che, lato azienda, tutto pesi sulle spalle dei team IT.  Occorre investire molto, utilizzando le risorse del PNRR, e lavorare secondo un approccio sistemico, mettendo in sinergia pubblico e privato, raccogliendo le migliori competenze e facendo un grande lavoro di analisi.

Non è sufficiente istituire agenzie e strutture dedicate. Sono contenitori, sistemi ad alto valore tecnologico, ma pur sempre contenitori. La nostra intelligence si deve distinguere a livello nazionale e internazionale sia sotto il profilo delle infrastrutture digitali sia soprattutto dal punto di vista delle competenze. Le conoscenze e le buone pratiche derivano da un processo di cooperazione tra università, centri di ricerca, hub e cluster ipertecnologici, capace di abilitare le competenze. Ma non basta: occorre attivare un upskkiling e un reskilling continuo delle persone, per comprendere le evoluzioni e i linguaggi del Cyberspazio, ed essere così in grado di prevedere o quanto meno gestire tempestivamente possibili perforazioni dei sistemi di sicurezza. E’ una questione di democrazia oltre che di protezione nazionale. E’ necessario ampliare gli spazi di democrazia e di pluralità informativa del nostro Paese, fortificando la nostra Intelligence, mettendola nella condizione di proteggerci non solo via terra, mare o cielo, ma anche nello spazio sconfinato della rete, dove l’ombra diventa oscurità. E’ una questione di competitività, di politica, di cultura, di difesa.

Il Ministro Colao recentemente ha dichiarato che il 93-95% delle infrastrutture dati della PA non è in condizioni di sicurezza, occorre investire in cloud sicuri. Diversi studi confermano che esiste infatti una diretta correlazione fra una strategia di implementazione cloud ed un ritorno a livello Paese in termini di produttività e incremento del Pil. 

Per arrivare quindi a standard di altissima protezione capaci di garantire sicurezza e competitività occorre essere in rete, mettere a sistema le migliori tecnologie e le esperienze di cybersicurezza più significative, rafforzando la nostra Intelligence Nazionale e contemporaneamente promuovendo in modo capillare la cultura della sicurezza digitale. Una scelta che consente alle imprese e ai cittadini di poter capire come meglio tutelare quel patrimonio prezioso e unico rappresentanto dai propri dati. Un patrimonio capace anche di influire sulle scelte politiche di un Paese. 

 

* Articoli pubblicati su blog di Affari Italiani The Ghost Writer

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