Esiste una grande differenza tra il descrivere e il raccontare, differenza in grado di influenzare la capacità individuale nell’essere persuasivi e autentici o autentici e quindi persuasivi. La sensazione è che nell’ultimo decennio il modo di comunicare si sia trasformato, influenzato da pubblici e metriche diversi rispetto al passato. Per comunicare si tende sempre di più a mettere in secondo piano il linguaggio, ovvero la scelta delle parole, a favore degli strumenti, che condizionano inevitabilmente lo stile e l’efficacia dei messaggi trasmessi.
Potremmo dire che è il progresso che influenza le scelte e gli obiettivi, e non sarebbe affatto sbagliato affermarlo, certo è che la velocità con cui comunichiamo oggi riduce notevolmente il valore emozionale delle parole scelte. Non è un caso che oggi l’emozione la proviamo più guardando un’immagine o un video, piuttosto che leggendo una lettera o ascoltando un racconto.
Pensiamo a questi ultimi 366 giorni: il 2020 si chiude con due immagini forti e contrastanti tra loro: la fila di furgoni dell’esercito italiano fermi in via Borgo Palazzo a Bergamo, impiegati per trasportare le salme di uomini e donne uccisi dal Covid-19 e i primi furgoni, arrivati anche in Italia con tanto di scorta, impiegati per trasportare le prime dosi di quel vaccino pronto a neutralizzare il Covid-19.
In mezzo tantissime storie di uomini e di donne che hanno combattuto contro un male invisibile. Storie di chi ha perduto se stesso e i propri cari, di chi è sopravvissuto, di chi ha compreso che la storia di tutto il mondo in questo 2020 è cambiata, in modo irreversibile, di chi nega ciò che è accaduto e ciò che potrebbe ancora accadere.
Dicevamo un mare di storie di uomini e di donne, di solidarietà, di sofferenza e lutto, di privazioni, di speranza silenziosa, emozioni e sensazioni che hanno bisogno di essere raccontate per rimanere. Tracce di 366 giorni che dovranno essere vissute dalle future generazioni non solo come pagine di cronaca o come fatti storici, ma come sentimenti provati e provanti, da tramandare come monito. Perché il 2020 ha di fatto demolito quel senso di distacco tra ciò che accade agli altri individui e ciò che accade a ciascun individuo: un azzeramento di certezze e di possibilità, come se d’improvviso la convinzione che nonostante tutto, tutto scorra, non fosse più reale e applicabile. Un segnale drammatico che ha messo in luce la presunzione dell’essere umano nel riuscire a gestire ogni cosa, grazie alla tecnologia, al progresso, al sapere. Una presunzione che si deve trasformare in un cambiamento consapevole: nelle abitudini, nella ricerca dell’affermazione, del successo, della felicità, nelle relazioni, nel comunicare quello che si prova e non solo quello che si è fatto o si intende fare.
L’opportunità di cambiare ci è data, sono questi 366 giorni a dirci che possiamo e dobbiamo trovare un modo differente per abitare questo pianeta, partendo dal rispettare tutto l’ecosistema che lo compone. E poi trovando un modo per stare in mezzo alla gente per rimanere e non per farsi notare.
Un modo potrebbe essere quello di scrivere, scrivere di più, di imparare a scrivere di emozioni, di raccontarsi e raccontare attraverso le lettere. Un modo di comunicare messo in soffitta troppo presto.
Scriviamo lettere alle nostre famiglie, ai padri, alle madri, ai figli, ai nostri cari; scriviamo lettere ai dipendenti, ai collaboratori, ai clienti, ai datori di lavoro; scriviamo lettere agli amici, ai conoscenti, agli sconosciuti. Scriviamo lettere d’amore, di vita, scriviamo per sfogarci, per proteggerci, per insegnare, per ammettere gli sbagli, per essere solidali.
Scriviamo per amare e amarci. Scriviamo senza paura, ma con l’obiettivo di esserci e di rimanere.
Basta più.
Che il 2021 sia un anno nuovo e non solo nuovo anno.
* Articoli pubblicati su blog di Affari Italiani The Ghost Writer
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